Non ci resta che ridere
Febbraio 2, 2021In Cronache marzianeBy Indisciplinata

Non ci resta che ridere

Come quando alle due del mattino accendo la luce del comodino e si fulmina la lampadina. Quella del comodino opposto ha esalato l’ultimo respiro mesi prima.

Come quando mi strucco, metto la tuta/pigiama, mi infilo a letto e si spacca una doga.

Come quando mi sveglio e grido al miracolo. Ci vedo, ci vedo! No. Ho dormito con le lenti a contatto, gli occhi sono due lacrime di colla.

Come quando vado di frettissima a fare la spesa, vestita in stile che me frega, so scesa da casa, non sono io, sono un’altra, inciampo e scivolo davanti ad alcune persone che avranno dato fondo a tutto il loro controllo per non scompisciarsi di fronte a me che inneggio religiosamente. Meno male che ho le scarpe da ginnastica, pensa se avevo i tacchi mi dico.

Come quando la sera stessa, teatro, stivali con tacco, truccata e spavalda, ariscivolo con pubblico in prima fila che questa volta si sbellica senza problemi.

Come quando tutta orgoglio, usando ogni sussulto della mia forza, modalità rosso peperone e calendario di santi, ho inaspettatamente reinserito la stecca del letto che si era simpaticamente sganciata appena infilata sotto le coperte alle due di notte.

Come quando non soddisfatta ho deciso di procedere con una geniale ed elegantissima saldatura della suddetta stecca usando niente popò di meno che uno scotch da macchinisti datato 1989.

Come quando uscita di corsa, messa bottiglia di acqua aperta dentro la borsa.

Come quando ho riportato ad uso possibile il porta asciugamano del bagno svitatosi e rimasto in attesa di una revisione per circa un mese, causa lontananza estrema del cacciavite dal bagno.

Come quando per il debutto, per quell’appuntamento, per la puntata radio, sono tempestivamente alquanto raffreddata e proprio bene non mi sento. Che posso farmi mancare la febbre, la tosse, e il mocciolo? Sia mai, sono accolti come fossero di famiglia.

P.s. Per le lampadine dei comodini credo che la tempistica per l’acquisto possa variare dalla settimana successiva al danno fino al 2025.

Come quando quella insostenibile eternità del catarro. Ossa che subiscono l’influenza, tra il contagio del sì e la ricaduta no, restano dolorosamente in forse, artrite o tendinite verso i rigori.

Come quando inizio la campagna per la sostituzione lampadine fulminate comodini camera da letto, aperta fino a conclusione dei lavori in data stimata 2026 circa. Comprate prime due lampadine strette, lunghe, attacco piccolo, quello giusto. Inserita la prima in una delle lampade di sale accanto al letto. Entrata perfettamente salvo esser troppo lunga e fuoriuscire dalla base. Lampada instabile. Comprate successivamente due lampadine rotonde, attacco piccolo, quello giusto. Tentativo di inserimento nella lampada cui sopra fallito. Lampadina troppo grande. Codeste lampade pesano 343535235615,4 kg ciascuna ergo non le porto con me per trovare la lampadina esatta. Intanto la sinusite spopola tra le tempie e le gote. Mangio cioccolato fondente all’arancia con una galletta che fa tanto dieta, poi faccio i fumenti ché tanto l’asciugamano è ora di cambiarlo. Nello stordimento del vapore un barlume mi trapassa, potrei portare la lampadina fulminata con me per cercarne una simile, ma questa intuizione si autodistruggerà nel giro giro tondo che è il mio oziare.

Come quando dopo aver attaccato 4239847957 mensole e aver usato il trapano 49258743987 volte nella mia vita, decido di fare un lavoretto che rimando da troppo giusto 5 minuti prima di uscire, con tacco e trucco al completo. Che non lo buco il tubo del gas in cucina per attaccare la 4239847958esima mensola? Premio genio della fretta 2019, 2020, 2121.

Come quando perdo le chiavi della macchina, le cerco ovunque e ritrovo quelle di casa.

Come quando ogni giorno vago per il quartiere in cerca della macchina. Ho il parcheggio creativo io.

Come quando metto sul fuoco la cena, torno a scrivere e mi dico non dimenticarti di controllare sennò bruci tutto. E poi brucio tutto.

Come quando sudaticcia, mbriachella, stancherrima, all’alba di una forsennata maratona di danze estive in terra d’Otranto, poche ore prima della partenza per Roma donde girare due posacce di fiction, ecco la macchina scassinata, finestrino spaccato: oddio il computer! Ah no, c’è! Oddio la borsa! Uh è qui! Oddio lo zaino! Che dico, eccolo! Pfiuuuu….tutto a posto, vado. Ma… il sedile? Il sedile anteriore?

Guidare fino al garage dell’amica che è con me, con le chiappe sullo zaino e il mento al volante, mentre lei piange per l’accaduto ed io rido a crepapelle all’idea di cosa dire ai carabinieri se ci fermano. Salve, mi hanno rubato il sedile, i miei ladri sono differenti.

Come quando chiamo mia madre e lei, al mio ciao mamma, puntualmente risponde: chi è? L’insostenibile piacere dell’essere figlia unica.

Come quando in un bilocale hai distribuito con parsimonia oggetti, mobili e vestiti per le prossime tre generazioni.

Come quando è ora di uscire ma ahimè devo assolutamente sistemare proprio oggi, proprio ora, quelle sette o otto questioni che procrastino da mesi, mettere a posto quello, scrivere a quell’altro, aggiustare questo. Guarda scusami, ma c’era la resurrezione di Lazzaro sulla tangenziale.

Come quando ho due porte vintage poggiate sulla libreria in salotto, devo restaurarle e farci due tavoli. Tempo stimato dai 3 giorni ai 7 anni. Risoluzione: tavolo terrazzo creato l’estate successiva, fatica incommensurabile che manco Ercole, seconda porta in attesa da allora.

Come quando ho vestiti vari di non bene identificata scadenza sparsi qua e là, cumuli di documenti disseminati per avviare una caccia al tesoro, la cucina da spicciare manco fosse passata la squadra di master chef, un’enorme busta in salotto. Contenente? Altre decine di buste. Tre casse di acqua minerale all’ingresso, accanto alla porta, tanto per inciampare meglio appena entro. Vari lavoretti di ristrutturazione da fare, a giugno festeggio 10 anni di anniversario del: li faccio domani.

Come quando sono sdraiata sul divano con il mio santissimo lato b a schiacciare due giacche, mezza borsa, il cappello, e scopro che il dolore improvviso alla costola destra è l’ombrello che non trovo da giorni.

Come quando ore e ore a pulire, spolverare, mettere a posto. Cinque minuti per disordinare. Manco gli Unni, men che meno i Turchi. Chi mi dice ancora che il segno della vergine è preciso e ordinato, paga pegno e mi viene a sistemare casa per un mese.

Offro la mia competenza a bande di svaligiatori e ladri di appartamento.

Come quando parlo talmente tanto e talmente veloce che negli occhi dei miei interlocutori vedo l’horror vacui da tramortimento acustico.

Come quando voglio farmi bella, darmi un tocco di novità, valorizzare il mio viso, e mi trucco, mi impiastriccio, mi pitto con tale impegno che poi guadagno almeno 10/15 anni in più.

Come quando sto per baciare quel tipo che mi piace assai, e un rigurgito gastro duodenale si affaccia spudorato dalle mie viscere. Faccio giusto in tempo a evitare il bacio, nascondere l’eruzione con uno strano grugnito, vedere la sua faccia indispettita per essere snobbato con sdegno dopo le mie innumerevoli occhiate seduttive.

Come quando, nel traffico dantesco di Roma, in mezzo all’esercito di tubi di scappamento, bloccata nel formicaio del raccordo all’ora di punta, un dolore colitico si insinua prepotente e forsennato, un bisogno impellente prende campo e in quel momento, biecamente ipocrita, decido che posso anche pregare Dio, rispolvero i ricordi del catechismo elementare disconosciuto da tempo e supplico di farmi arrivare indenne all’autogrill, verso quell’altare di ceramica tanto agognata che mi permetta di non fare di me stessa e della mia macchina un letamaio. Amen.

Come quando proprio lui mi guarda, mi piace moltissimo, mi do un tono, disinvolta, ironica, disinteressata, mi osserva, che dico, mi si mangia con gli occhi! È fatta, si avvicina, mi sorride, sorrido anche io, eccolo, è qui! Alzo lo sguardo più conturbante che posso per stenderlo ai miei piedi, ma non lo vedo più. Dov’è? Avvinghiato alla tipa del tavolo accanto, entrambi sbavati da un bacio travolgente. Faccio finta di nulla e mi scolo due Negroni.

Come quando non pago una bolletta puntuale dal 2000.

Come quando compro per la ventesima volta gli auricolari del cellulare. E per la ventesima volta mi scordo di averli ficcati nei timpani e porto comunque il telefono all’orecchio. Per la ventesima volta perdo ore a districare il cavo dai nodi. Ma sono fondamentali, non posso farne a meno. Uscire e poter tranquillamente camminare parlando da sola senza che le persone mi guardino atterrite, non ha prezzo.

Come quando perdo le chiavi di casa che avevo ritrovato cercando le chiavi della macchina. Avranno raggiunto i cellulari, i documenti, gli ombrelli e tutto quell’ambaradam di oggetti che scappano da me ogni giorno. Le miei chiavi sono emigranti. Ma d’altronde, mi dico, posso farne a meno. Non voglio mica chiudermi in me stessa.

Come quando vorrei essere più ordinata, più matura, più cittadina, più adulta, più splendente, più vincente, e lavoro duramente su me stessa per riportare il mio pianeta sulla terra.

Come quando essere indisciplinate, extraterrestri, distratte, goffe, dispersive, caotiche, è immensamente faticoso. Un continuo gestire disastri, cadute, sabotaggi.

Come quando, una volta smorzate le traveggole, le imprecazioni, l’arrabbiatura per ogni inciampo quotidiano, niente è più esilarante al mondo di quella personalissima caciara che si ribella all’ordine costituito!

Ergo non ci resta che ridere.

 

Che poi son tutta qui.

Io son tutta qui.

Un piccolo carillon

un alveolo di miele

curve e rettilinei

moltissimi incroci

nessun semaforo.

Non sarò mai una rotonda.

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