I piedi sono ali
Aprile 19, 2020In IndisciplinataBy Indisciplinata

I piedi sono ali

Nelle ore notturne carezzo la mia solitudine. Sono abituata, a volte ne sono gelosa, ho imparato molto da lei. Altre faccio fatica, aumenta il mio peso, la sento nello stomaco, nel petto, sulle spalle. Anni fa, la mia penna inciampava su alcuni versi:

 
 
C’è una solitudine 
 
che ama l’universo, 
 
incontra l’io e gli sorride, 
 
cammina con l’anima, 
 
non chiede, ringrazia.
Poi c’è la solitudine.
 
 
Di giorno organizzo meeting virtuali, ragiono forsennata assieme a professionist* del teatro sulla nostra sopravvivenza a questo fermo totale, discuto, lavoro, mi divido tra le numerose reti del settore, con due colleghe, Alessandra della Guardia e Sara Palma, splendide compagne di percorso, abbiamo dato vita alla realtà di Mujeres nel Teatro, per stimolare il confronto, la collaborazione tra le teatranti, per avviare un percorso di genere e pari opportunità, per ripensare tutte assieme le condizioni precarie e i diritti pressoché invisibili della nostra categoria.  
 
Poi arriva la notte. E mi riporta a me stessa, a quelle cose che il corpo racconta e che alla luce del sole spesso scelgo di non ascoltare. Osservo i miei piedi. Hanno bisogno di riprendere a camminare, di tornare a ballare. Mi chiedono di lasciarli liberi, sono impazienti di imprimere orme su una strada inevitabilmente nuova. Mi dicono che riescono a sentire lo scalpitio degli altri piedi, di quei gustosi salsicciotti tirabaci che fanno trotterellare i bambini, delle ossute, gonfie, traballanti piante degli anziani, delle viandanti impronte di tutta l’umanità. Un fiume di energia sotterranea che freme, sgambetta, si agita. A nostra insaputa, stanno organizzando un’evasione di massa. La notte, nei sogni, si ritrovano, amoreggiano, danzano, inciampano, corrono, uno sciame di talloni verso l’altrove, un rave di alluci e malleoli.
 
Difficilmente la mia insonnia testarda ha la meglio, ma ogni tanto, mi lascia andare. Travolgo correndo l’uomo di latta, lo affogo di coccole, stropiccio di baci cuor di Leone, mi sciolgo tra le braccia dello spaventapasseri, volteggio sulle mie scarpette rosse e no, non c’è strega dell’est che tenga. Il grande mago, già lo conosco, gli voglio bene, ormai so che non è quello che dice di essere. Un uomo, un padre, fragile, goffo, che si nasconde dietro mascheramenti cialtroni e castelli di fuffa, rinchiuso in un bunker tutta una vita, in compagnia di microfoni per dar voce al potere ed effetti speciali per dar corpo all’invincibile. Senza mai il coraggio di farsi vedere come è, senza mai la possibilità di uscire allo scoperto. Che quella invece, è l’unica grande magia reale, vera, possibile. Che belli gli uomini che vivono la loro fragilità senza commiserarsi, cercando di capire, di ascoltarsi, di imparare a conviverci, senza dover fingere di essere dominanti. Eccolo il coraggio, prendere per mano la paura, non soffocarla, non rinnegarla.
 
 
Nei sogni, continuo a godermi le mie scarpe rosse. Passo di fiaba in fiaba stravolgendo le trame, impastando i volti, modificando i finali. No, non mi taglieranno via i piedi, no. Abbiamo diritto, noi donne, di far volare le nostre scarpe rosse. Abbiamo una responsabilità, verso noi stesse, verso le nostre figlie. Abbiamo il dovere di indossarle, di farle indossare alle nonne, alle madri, alle sorelle, alle bambine. Con l’augurio che inizino ad indossarle anche agli uomini, che in fondo, ne avrebbero davvero bisogno, mollare il machismo. Un bel tacco rosso, una ballerina fiammante, ma sì, cinque, sei, sette, otto…musica!
 
Tra un sogno e un altro, nelle ore di lucidità, penso a tutte quelle donne che ora, in questa quarantena forzata, stanno vivendo relazioni tossiche, violente, abusanti. Al loro inferno che si acuisce. Le notizie di questi giorni non sono rassicuranti. Penso che sì, mi manca vivere una relazione, ma sono fortunata rispetto a tante sorelle, sono lontana dalla violenza, sto lavorando da anni per ripudiarla, per imparare a riconoscerla, per respingerla. Penso a milioni di scarpe rosse nelle piazze mondiali a ricordare il numero orrendo di femminicidi. Penso a tutte queste scarpe che non hanno più i piedi.
Chiudo nuovamente gli occhi e immagino una travolgente rivoluzione, un’avanzata di rosso a spillo e di rosso ginnastica, senza corpi, una fantasmagorica ballata di scarpe animate, che investano ogni barriera, ogni porta e tra un tip tap e una piroetta, dispensino calci nel culo ad ogni natica arrogante, abusante e sessista poi, swingando nel cielo, colorino di amore le albe future, accendano il fuoco dei prossimi tramonti.
 
Torno alla realtà. Non so se ho dormito oppure ho sognato ad occhi aperti. Guardo le mie scarpe rosse, ferme, recluse, tanto glamour, piccole dive in gabbia. Si avvicina il 25 aprile, la festa della liberazione.
Non c’è niente da fare…siamo noi il virus. Siamo noi le tossine. Siamo noi le sbarre. Ma le scarpe non ci aspettano eh. Le scarpe abbatteranno i cancelli.  Che i piedi sono le nostre ali.
Vi saluto con i versi della Merini, la nostra cara, intensa, indisciplinata Alda.
 
 
 
Io ero un uccello
dal bianco ventre gentile,
qualcuno mi ha tagliato la gola
per riderci sopra,
non so.
 
Io ero un albatro grande
e volteggiavo sui mari.
Qualcuno ha fermato il mio viaggio,
senza nessuna carità di suono.
 
Ma anche distesa per terra
io canto ora per te
le mie canzoni d’amore.

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