Alessandra Capone - quel sorriso che sei
Agosto 16, 2020In IndisciplinataBy Indisciplinata

Alessandra – quel sorriso che sei

Ciao ragazze. Oggi, in questo agosto di mascherine e barbecue, vi parlo di una compagna, una sorella, un’anima profondamente indisciplinata, una donna che ha vissuto pienamente, andando sempre più a fondo, non fermandosi mai alle proposte del sistema, agli stereotipi, alla comoda morale comune. Oggi, il mio augurio, è di prendere per mano le nostre paure e avere il coraggio di ascoltare il nostro istinto, il nostro cuore, al di là delle convenzioni. E di impegnarci. Di vivere con impegno, passione e amore. Esattamente come lei.

Alessandra Capone, 48 anni, militante internazionalista femminista, danzatrice di flamenco, è un esempio, un faro, un tacco che percuote il pavimento e diffonde ritmo vitale.

Alessandra nasce a Roma. Dopo la Laurea in Lingue e Letterature Straniere Moderne va a Milano per un Master in Pari Opportunità e Studi di Genere. Il 2008-2009 rappresenta un punto di svolta per lei: a seguito di “Piombo Fuso” si occupa sempre più della questione palestinese. Il corso di formazione organizzato dalla Cooperativa BeFree per operatrici antiviolenza le apre uno squarcio di mondo che la appassiona e che intende approfondire.
Ma non basta. Alessandra per 10 anni danza assieme ad un cancro mammario metastatico. Con la sua campagna di crowdfunding, iniziata nel 2019, intraprende un percorso politico, dando una narrazione diversa della malattia, collettivizzando la cura, sottolineando l’importanza di una medicina integrata.

La solidarietà è un’arma nella quale ho sempre creduto tantissimo, spiegava nel video di lancio incentrato sull’idea di tornare a ballare. Il flamenco mi tiene ancorata alla terra ma alla stesso tempo mi libra verso l’alto.

Nelle interviste, in radio, nei dibattiti, nei suo video, nei suoi commenti, ci restituisce un immenso patrimonio sul cancro, sulla medicina, sul rapporto medico-paziente. Alessandra parla apertamente della malattia, abbatte il silenzio, non ama essere considerata una guerriera, lei che rifiuta ogni forma di guerra e violenza, lei che ama la Palestina, lei che, assieme a Vittorio Arrigoni, ha dedicato la sua vita alla pace e alla difesa dei diritti. Alessandra segue piuttosto una strada verso una consapevolezza personale che diventi anche consapevolezza sociale, ci insegna a parlare senza pudori, con leggerezza e profondità, di vita, malattia e morte. In questi anni moltissim* le artiste e gli artisti che sostengono la sua campagna per una cura finanziata collettivamente. Spettacoli, letture, radio, teatro, eventi, dedicati ai diritti de* pazient* e ad Alessandra. Vi assicuro che dare ad Alessandra è sempre meno di quello che si riceve. Tantissime le illustrazioni, le vignette, i disegni che la ritraggono danzante e determinata, a cura di Anarkikka, Magnasciutti, ZeroCalcare, Fogliazza, Sparato, e così via.

Alessandra racconta cadute e successi di una donna in primis, di una malata poi, sottolinea contraddizioni e falle del sistema sanitario, viaggia alla ricerca di medici speciali, segue tutte le terapie tradizionali fino ad approdare a valide terapie sperimentali o di ultima generazione. Dopo anni di cure, di ospedali e di incontri, dice la sua sui protocolli, sulle controindicazioni delle terapie, sulle campagne di prevenzione concentrate solo sui controlli e sulle diagnosi precoci e non su una qualità della vita differente, su una rivoluzione dell’alimentazione, su una disintossicazione dell’ambiente, su una vita scevra da stress sistemici e su un percorso di rispetto e d’ascolto del proprio corpo e della propria anima.
Alessandra dice la sua sempre, non ha paura di contrastare le grandi organizzazioni di beneficienza sul cancro mammario, ne evidenzia le radici ambigue, aiuta molte pazienti ad aprire gli occhi, a non cadere nella narrazione stereotipata e melodrammatica della donna affetta da tumore al seno. Di pochi giorni fa una sua dichiarazione sulla terapia ormonale, la cosiddetta menopausa indotta:

Nel periodo in cui sono entrata in menopausa forzata, l’oncologo di allora mi disse serafico: “Beh che c è? Non ha fatto figli fino adesso.” Avevo 38 anni. Scoppiai a piangere disperata, ma non sono riuscita a rispondergli perché ero una novizia del cancro. Ma quella frase detta con tono leggero quasi scanzonato, mi è rimasta dentro, quindi nel tempo ho imparato a valutare il medico di fronte a me, che deve essere anche umano e guardare alla persona. Il periodo in cui presi il tamoxifene è stato uno dei più brutti della mia vita, non credo che lo prenderei se tornassi indietro.
E stato devastante: mi sono sentita togliere la forza vitale, l’energia femminile, ero profondamente depressa. 
All’oncologa dissi chiaramente: mi butto da un ponte, non ce la faccio più con questa terapia, sto troppo male. E lei insistette perché diceva che era utile nel mio caso. Io mi lasciai convincere ma stetti male per almeno un anno.
Quanto mi ha fatto male quell’anno? Quanto mi ha tolto nel tempo questa menopausa forzata?

È ancora, in un altro post Alessandra denuncia:
Vuoti di memoria, problemi di concentrazione e sensazione di confusione: sono alcuni sintomi che rientrano nel cosiddetto chemo-brain, considerato un effetto collaterale della chemioterapia. Ma ora un nuovo studio, pubblicato sul Journal of Clinical Oncology, suggerisce che a soffrirne sono anche le donne che seguono la sola terapia ormonale. E per questo i ricercatori invitano a non utilizzare più il termine chemo-brain che non riuscirebbe a dar conto del fenomeno nella sua totalità.

Alessandra negli anni cambia alimentazione, si allena ogni giorno ad amare sé stessa, si trasforma e infine fiorisce. Con o senza capelli irradia quella bellezza che è fatta di verità e passione. Ha paura e non ha paura Alessandra. È serena anche nel pianto.
Affronta i viaggi in Germania per la terapia anche durante il lockdown, denuncia i ritardi sulle cure oncologiche causati dal collasso del sistema sanitario per il Covid 19, è stanca, spossata, eppure sempre vitale. Continua quotidianamente ad occuparsi di questioni di genere e di attivismo internazionale, fino a pochi giorni fa le sue riflessioni su Beirut. Una militante fino alle viscere.

Vi consiglio di farvi un giro sulla sua pagina: “Alè Ale, torna a ballare” e ci tengo che siano le sue parole a presentarla:

Ho iniziato il 29 Aprile, presso la Klinikum der Johann Wolfgang Goethe-Universität di Francoforte, un trattamento costosissimo di chemioperfusione e chemioembolizzazione al fegato per un cancro al seno metastatico.

Ho scelto Francoforte perché qui trattano casi difficili e rischiosi come il mio, e che altri rifiuterebbero di affrontare. Ogni trattamento costa 3.900 euro e dovrò farne ancora almeno 3/4! A questa cifra si devono aggiungere le spese di viaggio e alloggio per me e un accompagnatore, necessario per sostenermi dopo il trattamento e aiutarmi a causa dei pesanti effetti collaterali.

Ho il fegato con parecchie metastasi, alcune in posizioni davvero critiche, e sono proprio queste da trattare il prima possibile per evitare che, una volta entrate nelle vie biliari, mi rendano assai difficile sopravvivere.

La mia storia comincia nel 2010 con un cancro al seno a cui sono seguiti mastectomia e le cure da protocollo (radio intra-operatoria, chemioterapia…). Dopo cinque anni in cui sono stata libera da malattia, nel 2015 scopro di avere diverse metastasi a fegato e linfonodi. Intraprendo altri cicli di chemioterapia, ma contemporaneamente inizio a modificare il mio approccio alla malattia, anche grazie all’incontro con un medico speciale. Nel 2016 faccio la prima termoablazione al fegato che poi ripeterò nel 2017.  A Gennaio 2018, inaspettata, ad un controllo compare una lesione all’osso del cranio, che riesco a neutralizzare in pochi mesi con una radioterapia stereotassica.

Siamo nel 2019 e il Dr. Prof. tedesco mi ha detto: “signora, è un miracolo che lei sia ancora viva!”. In questo momento, secondo lui, non reggerei una chemioterapia classica…mi ucciderebbe!

Per scrivere queste righe, direttamente dalla stanza in cui sono in attesa di fare il primo trattamento, ne ho fatta un’altra delle mie, ma avevo bisogno di esprimermi e comunicare con qualcuno. “Daje Ale!” – mi sono detta – e sono letteralmente sgattaiolata fuori dalla stanza con il mio camice – aperto dietro, ovviamente! – di fronte a un gruppetto di tedeschi che mi guardavano sbigottiti.

Qualche spiegazione – ovviamente laica! – al miracolo di cui sopra ce l’avrei! In questi anni ho imparato a non identificarmi con la malattia. Ho coltivato uno spirito critico, una resilienza, una curiosità, una voglia di capire e di chiedere sempre, a costo di rompere le ovaie a oncologi e prof!

Ho vissuto, amato, viaggiato, nutrendomi di arte, impegno sociale e politico e soprattutto di flamenco, alè!

Il cancro è una malattia che fa paura, ha origini multi-fattoriali e per questo credo debba essere affrontata su diversi piani. É il cosiddetto approccio olistico, un orientamento che si prende cura non solo dell’organo colpito, ma di tutto il corpo, sostenendo il sistema immunitario (messo a dura prova dalle sole terapie tradizionali), la mente e lo spirito.

Dal 2015 ho intrapreso un percorso di medicina integrata, rivoluzionato la mia alimentazione, ho iniziato agopuntura, migliorato il mio stile di vita, meditato, intrapreso un percorso psicoterapeutico di conoscenza e consapevolezza. Last but not least, ho ripreso le scarpette da danza da anni appese alla parete!

Ho ancora un sacco di cose da fare in questa vita e queste cure sono importanti per migliorare la mia prognosi e la mia qualità di vita.

Io non mi arrendo!

“Alè Ale, torna a ballare!”

La notte tra il 13 e il 14 agosto, la nostra meravigliosa Alessandra ha iniziato la sua nuova avventura in quell’altrove che a noi non è dato sapere. Sono certa che Vittorio l’ha accolta e lei lo starà già convincendo ad imparare il flamenco. Si potrebbe dire che alla fine si è arresa. Io non lo credo. Credo che il suo sia stato un percorso meraviglioso di crescita personale che lei, con la sua tenacia, con la sua umanità, con la sua militanza, ha tradotto in crescita collettiva. Perché siamo tutt* cresciut* leggendola, incontrandola, frequentandola.

Pochi giorni fa scrivevi: C’è la medicina degli schiavi e quella degli uomini liberi, ci ricorda Platone. Possiamo scegliere. E tu hai scelto eccome. A dispetto di tutto.

Ti rivedo in questa che credo sia una delle tue ultime interviste, per Tagadà, e mi emoziono assai.

Alessandra bella, quando sono stata male ti ho contattata. Intensi e profondi i nostri confronti. Non smetterò mai di ringraziarti. Avremo per sempre con noi il tuo percorso, la tua consapevolezza, i tuoi traguardi, un ricchissimo, enorme lascito. I tuoi amici e le tue amiche stanno lavorando ad un documentario che racconti la tua meravigliosa anima, sono certa che li aiuterai. Nulla di te andrà perduto. In queste ore, il mio pensiero va ai tuoi genitori, ai quali, sono certa, hai certamente dato molto.

Di mio, ti saluto così, con questi piccoli versi.

E i tuoi occhi grandi
fuori dai confini
brillanti, famelici,
indisciplinati,
e il tuo cranio di luce,
bosco di ricci e rose.
Ma soprattutto le guance
tonde, capienti, testarde,
quotidiane mongolfiere
di quel sorriso che sei.