Guerra e carnevale. Un esercito di clown.

Guerra e carnevale. Un esercito di clown.

Una maschera ci dice di più di una faccia.
Oscar Wilde

 

Indisciplinate del mio cuor, come state? Immagino come me, travolte da molteplici pensieri. Sono giorni complessi, durissimi, giorni in cui la crudeltà e la stoltezza umana continuano a confermare il loro operato.

La guerra dietro casa, la guerra praticamente in Europa, smuove terrore, sgomento, indignazione a destra e a manca, scattano le campagne di solidarietà, le prime manifestazioni di pace, le strategie politiche, i rimpalli di responsabilità. Sono decenni di guerre che ci han fatto meno paura perché lontane, toccate giusto col telecomando, nello zapping compulsivo tra telegiornali. Con l’attacco russo a Kiev, torna prepotentemente a galla l’eco delle guerre mondiali. E di lì a ritroso, secoli e secoli di guerre.

Questo ennesimo conflitto ha radici come sempre lontane e molteplici responsabilità. Questa ennesima guerra ha preso il fuoco un giovedì grasso del XXI secolo.

Guerra e carnevale. La violenza che uccide ogni risata. La risata che uccide ogni sopruso.

Mie care spettinate, mai sottovalutare la valenza primordiale del Carnevale. Insomma, come stiamo messe in quanto a maschere?

Uh, mi direte, anni e anni di lavoro su noi stesse per non indossare ruoli che famiglia e società ci affibbiano, anni di confronto tra noi per riconoscere e dismettere modelli dominanti che siamo chiamate a rispettare, insomma, mi direte, va de retro maschera, vogliamo essere noi stesse, vogliamo i nostri volti, le nostre identità, il mondo è tutto un mascherone!
Vero. Concordo. Vi do pienamente ragione. Non c’è cosa più sana di un percorso, mai semplice e mai scontato, di autodeterminazione e valorizzazione della propria soggettività non in chiave narcisistica bensì in chiave evolutiva.

Detto questo, mi permetto di aprire una riflessione sulla maschera. D’altronde, cosa volete, mi occupo di teatro da 25 anni. Sono di “parte”, è indubbio. 

La maschera ha un valore e una potenza senza pari. La maschera condensa l’essenza. Anticamente si credeva che indossando le maschere si potesse assumere il potere del dio che essa rappresentava, della figura o dell’energia che evocava. 

In qualche modo è vero. La questione fondamentale è che dobbiamo essere noi a scegliere le maschere da indossare, attraverso le quali dire, rappresentare, evocare questioni essenziali, urgenti, rivoluzionarie, sacre. 

Un conto è lavorare per levarci di dosso ciò che i modelli predominanti ci impongono, un conto è dare a noi stesse il permesso di “travestirci”, avere il coraggio di essere rappresentative proteggendo il nostro intimo, levando di torno l’ego individuale, diventando archetipi universali.

Il carnevale oggi è sottovalutato a mio avviso. Per carità, abbiamo tradizioni immensamente radicate, Venezia, Viareggio e molte, moltissime altre. Ma, di base, per la maggior parte della popolazione italiana, ad oggi è intrattenimento per l’infanzia e qualche festicciole danzereccia.

Il carnevale, dal termine latino carnem levare (eliminare la carne), poiché indicava il banchetto che si teneva l’ultimo giorno di Carnevale (martedì grasso), subito prima del periodo di astinenza e digiuno della Quaresima, ha origini molto più antiche e pagane.

Sogno un carnevale all’improvvisa, sogno rivoluzioni di Arlecchini e Colombine, sogno una pratica di autodeterminazione popolare politica, umana e spirituale attraverso i travestimenti. Sogno esplosioni di sberleffi, buffoni e imbarazzi al di là di ogni festa comandata, sogno incursioni di clown, re e regine di cartapesta, falli e vulve danzanti. Attraverso la maschera possiamo finalmente dire la verità. 

Intendiamoci, le maschere sono pericolose, e come tutte gli oggetti ancestrali, hanno una loro magia. Se ci lasciamo dominare da loro, se ne diventiamo dipendenti, può diventare una condanna. Ma se ne abbiamo rispetto, se chiediamo loro aiuto per scandagliare, provocare, evocare ciò che richiede urgenza, ciò che chiede verità, per assurdo, proprio le maschere possono essere uno strumento potentissimo e vitale.

Il Carnevale, in opposizione alla festa ufficiale, era il trionfo di una sorta di liberazione temporanea della verità dominante e dal regime esistente, l’abolizione provvisoria di tutti i rapporti gerarchici, dei privilegi, delle regole e dei tabù. Era l’autentica festa del tempo, del divenire, degli avvicendamenti e del rinnovamento. Si opponeva ad ogni perpetuazione, ad ogni carattere definitivo e ad ogni fine.

(Michael Bachtin)

Verissimo. Questo è il carnevale. È la libertà di parlare, dire, prendere in giro, mischiare le identità, accettare il non detto, il discriminato, il pornografico, perculare e distruggere il potere. Purtroppo, ahimè, temporaneamente. Come divertimento terapeutico, come rito propiziatorio ma determinato. Poi sta agli/alle artist* esporsi per il resto dell’anno. Agli e alle intellettual*, alle e agli attivist*

Proprio il potere costituito, nei secoli, ha bene capito che lasciar sfogare il popolo per una settimana è la formula vincente per mantenere l’ordine. Il Carnevale è una benevola concessione delle classi dominanti che permettono dei giorni di “rovesciamento”, dove ogni struttura di potere si allenta per poi rigenerarsi e consolidarsi in maniera sempre più autoritaria. Oggi mi pare che nemmeno ci rendiamo conto del potere che potrebbe avere il carnevale. Il potere del riso dissacrante. Il potere di distruggere le certezze per accogliere e celebrare la ricchezza e la complessità di ogni essere umano che ha il diritto ad avere e a riconoscere le proprie molteplici sfaccettature, le proprie molteplici identità. Il diritto al mutamento, al rovesciamento, al “sono questo e sono quello.”

Sogno un carnevale che rivendichi la sua presenza a prescindere. Un carnevale quando ci pare. Sogno che il paese dei balocchi conquisti le nostre vite, e se ci vedranno come asini, se cercheranno di farci lavorare come bestie (perché non accade già?), se ci cresceranno lunghe orecchie pelose e raglieremo vorrà dire che abbiamo un cuore matto. Le orecchie di asino le indossavano i buffoni di corte, che, facendo ridere lo stesso re, erano gli unici, in quanto riconosciuti matti, che facevano satira, che dicevano l’indicibile, facendo ridere il re e la corte anche di sé stessi. 

Sogno una rivoluzione di fool. Un esercito di clown imbracciare mitragliatrici a coriandoli.  

Che la nostra indisciplinata guerra sia un carnevale.

Leviamo la carne, leviamoci da dosso questa umanità ubbidiente, sottomessa, vigliacca e al contempo arrogante, violenta, egocentrica. Facciamo parlare la corte dei miracoli, i mostri, le streghe, i re di picche, le regine di cuori, facciamo parlare le pance, i seni, le vagine, i peni, facciamo parlare le linguacce, le boccacce, i diavoli e gli angeli, facciamo parlare i cartoni animati, gli eroi morti, le eroine defunte, facciamo parlare la fantasia, la rabbia, il desiderio, la gioia, l’amore, diamo voce al vaffanculo. Che sia un tripudio costante di mascheramenti, travestimenti e ribaltamenti. Dichiarati, indossati, visibili.

In contrasto con le ipocrite, codarde, crudeli strategie sottobanco, agite universalmente nella routine dei nostri rapporti relazionali, lavorativi, sociali, adottate prepotentemente dai sistemi politici e finanziari, fintamente democratici, strategie  tacitamente approvate, volutamente lasciate nelle zone di ombra perché possano espandersi indisturbate, ma pubblicamente disdegnate e condannate. Le maschere da distruggere sono quelle invisibili. I veri buffoni sono quelli/e senza cerone, quelli/e senza costume.

IL GIOCO DEI “SE”

Se comandasse Arlecchino
il cielo sai come lo vuole?
A toppe di cento colori
cucite con un raggio di sole.
Se Gianduia diventasse
ministro dello Stato,
farebbe le case di zucchero
con le porte di cioccolato.
Se comandasse Pulcinella
la legge sarebbe questa:
a chi ha brutti pensieri
sia data una nuova testa.

Gianni Rodari

Vi lascio qui alcuni cenni storici sul carnevale. Potremmo lanciare bombe a sorriso assai potenti se trovassimo il coraggio di tornare al rito ancestrale del travestimento, del caos sovvertito dal popolo che festeggia e sradica nel riso ogni morale imposta. È ora di finirla con le guerre e di non finirla mai con il Carnevale.

ALCUNI CENNI STORICI

Il carnevale ha origini molto antiche, lo ritroviamo nelle festività dionisiache greche (le antesterie) o nei saturnali romani. Feste nelle quali si realizzava un temporaneo scioglimento dagli obblighi sociali e dalle gerarchie per praticare il rovesciamento dell’ordine, lo scherzo e la dissolutezza, un periodo di rinnovamento simbolico, durante il quale il caos sostituiva l’ordine costituito.

Nel mondo antico la festa in onore della dea egizia Iside, importata anche nell’Impero romano, comportava la presenza di gruppi mascherati.

Le cerimonie carnevalesche, diffuse presso i popoli Indoeuropei, mesopotamici, nonché di altre civiltà, hanno anche una valenza purificatoria e dimostrano il bisogno profondo di rigenerarsi periodicamente abolendo il tempo trascorso e riattualizzando la cosmogonia.

In poche parole si tornava al caos originario per poi dare nuova linfa al ritorno dell’ordine. Si facevano rivivere i morti, i sogni, le divinità, i dannati, le gerarchie sociali, tutto rimescolato, tutto al contrario, tutto assieme, si dava il via allo sconvolgimento delle condizioni sociali, lo schiavo diventa padrone, il padrone serve gli schiavi, si umilia il re, si sospendono tutte le norme, ecc. La licenziosità, la violazione dei divieti, la coincidenza di tutti i contrari miravano alla restaurazione del tempo primordiale.

In primavera, quando la terra ritrova la propria energia, il Carnevale segna un canale aperto tra gli inferi e i vivi (anche Arlecchino ha una chiara origine infera). Le anime, per non diventare pericolose, devono essere onorate e per questo si prestano loro dei corpi provvisori: essi sono le maschere che hanno quindi spesso un significato apotropaico, in quanto chi le indossa assume le caratteristiche dell’essere “soprannaturale ” rappresentato. 

Le maschere che incarnano gli antenati, le anime dei morti che visitano cerimonialmente i vivi (Giappone, mondo germanico, ecc.), sono il segno che le frontiere sono state annientate e sostituite in seguito alla confusione di tutte le modalità. Diventa possibile la comunicazione tra vivi e morti. Il carattere infernale e diabolico delle maschere è riconoscibile in particolare in certe maschere come il già citato Arlecchino (maschera policroma e fiammante vestito a losanghe policrome), Pulcinella (volto metà bianco e metà nero e camice bianco), Zanni (tunica e calzoni bicolori). Tra le maschere regionali italiane che maggiormente testimoniano l’origine infero-demoniaca ci sono i mamuthones e gli issohadores in Sardegna.

Alla fine il tempo e l’ordine del cosmo, sconvolti nella tradizione carnevalesca, vengono ricostituiti con un rituale di carattere purificatorio comprendente un “processo”, una “condanna”, la lettura di un “testamento” e un “funerale” del carnevale il quale spesso comporta il bruciamento del Re carnevale rappresentato da un fantoccio. Il processo e la messa a morte del Carnevale, sul quale si addossano tutti i mali della comunità, è la parodia di un vero e proprio processo con imputato, avvocato difensore, pubblico ministero ed altri personaggi. Il Carnevale fa testamento, ma altre volte il testamento viene fatto da un suo equivalente.

Nel XV e XVI secolo, a Firenze i Medici organizzavano grandi mascherate su carri chiamate trionfi e accompagnate da canti carnascialeschi, cioè canzoni a ballo di cui anche Lorenzo il Magnifico fu autore. 

L’antica tradizione del carnevale si è mantenuto anche dopo l’avvento del Cristianesimo: anche a Roma stessa, capitale del Cristianesimo, la maggiore festa pubblica tradizionale è stata il Carnevale Romano fino alla sua soppressione negli anni successivi all’Unità d’Italia. In alcune aree centro-europee è maggiormente legato ad aree di tradizione cattolica rispetto a quelle protestanti, come nel caso della regione storica tedesca del Baden, divenuta parte del Land del Baden-Württemberg fin dopo l’avvento della Repubblica di Weimar.

L’etimologia di Maschera è incerta e si apre a molteplici possibili radici. Dal Lat. mediev. mascara: spettro, essere demoniaco, der. del germanico *maska, attestato nella forma masca nell’Editto di Rotari (643).

Questo oggetto è nato praticamente con l’essere umano, prima ancora di molte lingue. Le più antiche maschere ritrovate sono del neolitico preceramico e sono scolpite nella pietra.

Masca è un termine molto presente nel nord ovest dell’Italia, fra Piemonte e Liguria, con echi nelle vicine lingue dell’occitano, dell’antico provenzale, e che appunto troviamo nel latino medievale; Sembra essere un termine non solo preromano, ma addirittura preindoeuropeo.

Una radice che suggerisce il nero, lo scuro, la fuliggine, gli spettri, le streghe. 

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