Sulla solitudine: la schiavitù del castello
Settembre 2, 2020In IndisciplinataBy Indisciplinata

Sulla solitudine: la schiavitù del castello

Ciao donne indisciplinate! Eccomi di nuovo qui a ragionar di solitudine. Nel precedente articolo vi avevo accennato che avrei ripreso la riflessione entrando nei meandri della condizione femminile.

Fermo restando che la tanto abusata affermazione: tutt* nasciamo sol* e moriamo sol* mi pare una verità tanto vera quanto ovvia e quindi indiscutibile, direi che la storia politica, sociale, scientifica e artistica riporta in modo evidente la solitudine che secolarmente il nostro genere ha subito. In che modo? La presenza di donne nei resoconti ai posteri si conta praticamente sulla punta delle dita. Sia per l’impossibilità delle nostre ave di partecipare democraticamente ad ogni sfera sociale, lavorativa e politica, sia per la censura che per secoli ha “dimenticato” di citare quelle donne che sono riuscite a dare il loro contributo allo sviluppo dell’umanità.

Vorrei dunque ragionare con voi sulla solitudine delle principesse. La solitudine dei grembiuli e delle scope. Quella della scienziata, della calciatrice, dell’artista, dell’imprenditrice, della maestra. La solitudine della pornodiva e quella della suora. La solitudine della madre, la solitudine della figlia. La solitudine delle bambole.

Ci sono tante solitudini ma diciamo che per comodità ci atteniamo a due grandi macro ambiti: l’amore e il lavoro.

Prima attraversiamo un pochino l’amore.

Quante di noi, impegnate, fidanzate, sposate, sono amate e rispettate nei più reali desideri, amate anche se non aderiscono a ciò che si vorrebbe fossero? Quante di noi convivono con violenza psicologica, fisica, possessività, manipolazione? Quante pretendono uomini che “facciano gli uomini” o quante al contrario ripetono “ma gli uomini sono tutti bambini, che ci vuoi fare!”

Quante ancora in coppia, pur amando ed essendo in qualche modo anche riamate, non sentono un sostegno profondo e paritario, quante di noi ancora non lo concedono per prime a sé stesse. Quante hanno paura di non essere approvate, di deludere, di non essere considerate abbastanza donne, abbastanza madri, abbastanza mogli? Quante di noi, per non abbandonare le conquiste fatte, le consapevolezze raggiunte, hanno difficoltà ad intrecciare rapporti sentimentali realmente rispettosi?

 

Quelle come me inseguono un sogno

quello di essere amate per ciò che sono

e non per ciò si vorrebbe fossero.

Alda Merini

 

No ragazze, stiamo alla larga dal vittimismo, per carità, non ci aiuta. Ma le cose tocca dircele. A parte la solitudine personale che è specifica di ogni individuo, esiste la solitudine di genere, come anche di etnia, religione, orientamento sessuale, disabilità, minoranza.

Ora, per favore, amici uomini non ci dite che anche a voi vengono appioppati mille stereotipi, che anche voi conoscete la solitudine, che ne soffrite esattamente come noi. Certo, vi rispondo, mi pare ovvio, di quell’ovvio che è lapalissiano. Vi chiedo però di abituarvi semplicemente  a non sentirvi costantemente presi in causa come nemici o come interlocutori all’opposizione quando si ragiona su questioni femminili e femministe, primo perché dopo secoli di protagonismo maschile ( che è ancora attuale) lasciateci i nostri spazi di confronto e ragionamento, e secondo perché la cultura maschilista e patriarcale afferisce a tutto un sistema radicato in profondità, oggi ancora profondamente presente sebbene più nascosto e ipocrita, sistema violento, sessista, antidemocratico, agito e praticato sia dagli uomini che dalle donne. Sì amici, avete capito bene. Certamente è una cultura basata sulla supremazia dell’uomo sulla donna, ma è talmente lontana nel tempo la sua nascita che non è appannaggio soltanto maschile, bensì anche femminile. Tantissime donne, ahi noi, agiscono e pensano con approccio maschilista, e spesso, nemmeno se ne rendono conto.

Beh carissime spettinate, torniamo a noi e alla solitudine sentimentale: possiamo dircelo, direi, che spesso le donne non impegnate in una relazione stabile sono considerate responsabili della propria condizione, povere zitelline incapaci di sedurre o di accontentare un partner, delle insopportabili acidone, delle presuntuose snob, delle sconsiderate giramondo, delle rompiscatole da mollare, delle compulsive erotomani che saltano di fiore in fiore, delle racchione inavvicinabili o bisognose cercamore da intortare. Se poi sono anche femministe, sia mai, alla larga! Sono certamente aggressive, insoddisfatte, frustrate, permalose, intrattabili, inscopabili, hanno voglia di cazzo, noiose, si credono le vittime, si credono martiri, si credono wonder woman, odiano gli uomini, la versione femminile del maschilismo, ovvio che poi stanno da sole. E magari sono pure lesbiche! ( come fosse un offesa poi…)

Certo ragazze, è vero che, se ci guardiamo intorno, effettivamente sono tantissime le donne che vivono in modo attivo o passivo la solitudine. Incontro continuamente chi di noi è molto diffidente dopo varie delusioni, un divorzio, una separazione difficile o un abbandono. Quelle noi che hanno bisogno di tempo per fidarsi ancora. Di onestà. Di chiarezza. Di sostegno, rispetto e risate. Di ritrovare la libertà di bastare a sé stesse, di ritrovarsi. Ma incontro anche molte di noi impazienti, spossate dalla solitudine, ossessivamente bisognose di corteggiamento, di sogno, di coccole, di fare l’amore, compulsive tuffatrici nel mare di guai che solitamente si rivela la fretta, l’entusiasmo precoce, il credo incondizionato ad ogni minimo complimento da cioccolatino, la testa tra le nuvole dopo qualche sviolinata plateale, la giustificazione di segnali che ci dovrebbero riportare con i piedi per terra. No, non giudico, care spettinate, posso assicurarvi che ho orbitato in entrambi le condizioni. Che poi spesso sono interscambiabili. Ti lanci, sei fiduciosa, hai voglia di innamorarti, non vuoi vedere nessun segnale che non ti piace, basta che il cuore batta. Poi prendi la batosta, torni sul pianeta, ma niente, vuoi restare pronta, ci riprovi, di nuovo a tutto gas, pochi giorni, forse pochi mesi, che bello, è la volta buona, sì, è lui, insomma ecco l’amore! Poi sbammm… Altra caduta, e ti rialzi, e ricadi e ancora e ancora… Finché, tutta piena di cerotti, dici basta. Ti chiudi, analizzi, capisci le tue debolezze, non ti butti più, osservi, ora vedi benissimo la fuffa. Ti dedichi a te stessa, yoga, pilates, musica, danza, mostre, lavoro, amiche, viaggi e riprendi fiato. Ti ricentri, ti ritrovi, comprendi tante cose, fai bilanci, sei libera. E allora ecco che riesci a dire quell* no, quall’altr* no, perché così, perché cosà, passi anni bellissimi ma che pian piano diventano un decennio senza che tu sia più riuscita a mettere in gioco i sentimenti. E quella libertà meravigliosa, le conquiste, la consapevolezza, cominciano a pesare, tutta la società parla di coppia, di amore, di famiglia e figli, sei stanca di risolvere le mille questioni quotidiane da sola, vuoi andare a dormire con il letto caldo di presenza, ti manca l’affetto, il desiderio, il tempo che passa allarga il vuoto e allora ecco che all’improvviso ti dimentichi il lavoro su te stessa e viaaaa, riparte la giostra della ricerca compulsiva, dei tuffi a panciata, dell’illusoria fretta!

Certo, un po’ di equilibrio non guasterebbe. Beh, sì, concordo. Tocca diffidare dagli estremi, ossia dall’idealizzazioni e dalla totale diffidenza. Ma, non è mica semplice, è un’altra di quelle verità facili a dirsi ma complicatissime in pratica. In fondo, come dicevo nell’articolo della scorsa settimana, questa solitudine non è poi una conquista individuale, sociale e politica? Siamo in decenni di passaggio, di grande trasformazione. Per secoli siamo state proprietà. Indebolite e azzittite al confino, tra decine di pargoli, crinoline o mestoli, a sostegno del marito, “protette” dal padre.

Sto citando la condizione femminile superficialmente ma sappiamo tutte che, in ogni epoca, molte di noi hanno lottato, si sono ribellate, hanno fatto la differenza, lasciato segni importanti, fondamentali, segni che, uno dopo l’altro, hanno determinato il nostro presente che certamente è migliore del loro. Si tratta di un numero enorme, infinito, di donne, non solo dei pochi nomi ormai celebri emersi da quell’invisibilità che la storia dei libri ha consegnato per secoli a tutte le indisciplinate.   

In queste montagne russe la domanda è: siamo più sole adesso, in questa era contemporanea, capitalista e democratica, o lo siamo state molto di più nel passato, col nostro dovere di mogli e madri, principesse confinate nel castello, santissime e castissime figure su un piedistallo o serve a rassettare baldacchini, gettate nelle cantine e nei sotterranei di ogni fiaba? (Quando sento dire che non ci sono più le coppie di una volta che stavano una vita assieme mi viene il sangue al cervello. E ti credo! Non esisteva divorzio…)

E ancora: quanto il nostro processo di emancipazione di genere è proporzionale all’evoluzione del sistema culturale? È che quando si lotta per una trasformazione, quando si agisce per cambiare, queste azioni partono prima del cambiamento e chi le agisce si trova ad operare in un sistema ancorato al passato.

Quanto la crescita e la consapevolezza interiore che ci portano ad avere nuovi obiettivi, visioni differenti, capacità di rifiuto e di scelta, trovano reale accoglienza nell’ambiente nel quale viviamo? Quanto in noi sono radicati e presenti stereotipi che ci rendono insicure, piene di sensi di colpa, in una costante altalena tra il vorrei ma non oso? Oppure oso e mi accollo il marchio dell’egoista, egocentrica, che pensa solo a sé stessa? E ultima ma non ultima, quanta solitudine nel grande salto che è la maternità, in una società che ti fa pagare ancora molto cara la conquista del lavoro, della carriera, della realizzazione lavorativa, costringendoti a fare comunque doppia fatica. E qui inevitabilmente approdiamo nel mondo del lavoro. Hai voluto uscire di casa, fare carriera? Bene, hai rotto i coglioni, ma sì ti è concesso, guadagni anche tu e consumi di più, ecco il bellissimo mercato tutto pensato per te, quanti prodotti indispensabili che ti puoi comprare da sola. Per la tua bellezza, per la tua giovinezza eterna, per i tuoi bambini perfetti. Donna, è arrivato l’arrotino! Ma, accanto al lavoro fuori, continuerai a faticare anche in casa, verrai pagata meno e avrai meno facilmente una posizione di responsabilità perché se poi sarai madre non puoi assicurare la stessa presenza dei colleghi uomini. E se invece ci tieni tanto a fare carriera forse rinuncerai a diventare madre. Che è un’altra grande conquista non dover per forza essere madre per sentirsi una donna completa. Ma l’importante è che sia davvero una scelta dettata dal desiderio di non ricoprire un ruolo materno. Che non sia invece una rinuncia forzata, conseguenza di una scelta ricattatoria tra il lavoro o la famiglia, ricatti che riempiono di sensi di colpa e frustrazione. Così come, diventare madre non dovrebbe significare un’arresto di carriera. La società dovrebbe condividere e sostenere l’infanzia al pari dei genitori, poiché le nuove generazioni sono il futuro di un paese. Nei colloqui lavorativi a noi viene chiesto se abbiamo figli o se abbiamo intenzione di averne. Solo alle donne viene chiesto. Come fosse scontato che i compagni, i mariti e i padri non abbiano lo stesso tipo di impegno nei confronti di una casa e della prole. Un datore di lavoro non dovrebbe permettersi di chiedere notizie della vita privata di una dipendente. 

Quante amiche conosciamo che entusiaste raccontano come sono bravi i loro compagni che cucinano, puliscono, fanno le lavatrici! O magari quante volte lo abbiamo detto e pensato anche noi! Come se un uomo che si occupa delle faccende della propria casa sia degno di lode. Come fosse un’eccellenza. Come non fosse semplicemente scontato e ovvio che una persona adulta, al di là del genere, si occupi dello spazio in cui vive. Così come dovrebbe essere scontato per noi non dipendere economicamente da un partner, occuparci di amministrazione, di trapanare un muro e così via.

( per fortuna il processo di emancipazione sta mettendo radici anche tra gli uomini, non sono pochi quelli che si battono contro la cultura patriarcale e machista che li vuole di potere, rampanti, dominanti in casa e fuori. Uomini che lottano per avere una consona paternità o che si occupano della casa in modo naturale).

Che dire, anche oggi per quanto riguarda la solitudine qualcosina abbiamo ragionato. No, avete intuito, neanche questa volta è finita qui.

Continuerò a riflettere su questa condizione che ha davvero tanti, infiniti livelli. Per ora mi fermo qui. Intenta a scardinare il portone del castello.

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