SEMPRE MEGLIO SCATENATA
Luglio 9, 2021In IndisciplinataBy Indisciplinata

SEMPRE MEGLIO SCATENATA (breviario di volo)

Carissime indisciplinate del mio cuor, finalmente torno a scrivere dopo una periodo fagocitante, fatto di svariati progetti artistici da seguire ma anche di numerosi inutili vortici trita energie che mi hanno tenuta lontana da molte cose a cui tengo, soprattutto dal blog. Mi siete mancate moltissimo. E a proposito di questa lunga assenza,  condivido con voi una riflessione sulle catene che troppo spesso indossiamo e che ci rallentano, ci frenano, ci bloccano, ci depotenziano. Continuiamo tutte a chiederci: perché le indossiamo? Tra le molteplici possibili motivazioni, mi preme soffermarmi su alcuni macro temi dai quali, a mio avviso, si sviluppano svariati moventi.

Le indossiamo in primis per auto sabotaggio. Siamo sempre tutte responsabili di accogliere, permettere e dare eccessivamente, anche se non è affatto facile evitare le trappole o slegarsi da catene antichissime, alcune presenti fin dalla nascita, catene che a volte sono le nostre stesse radici. Ma allora mi dico e dico a noi tutte che, anche se non abbiamo scelto di nascere incatenate (ho dubbi sul fatto che un’anima prenatale non scelga, secondo me scegliamo eccome),  è certamente parte del percorso di crescita bonificare queste radici, depurare la terra nella quale affondano, costi quel che costi, fosse anche necessario sradicare noi stesse e ripiantarci altrove, dove l’humus è più sano e conforme alla nostra natura. Ovviamente facile a dirsi. Complesso, doloroso e irto di ostacoli a farsi.

In secondo luogo le indossiamo per retaggi culturali, che vedono ancora noi donne come le più gettonate alle attività di cura e accudimento del compagno, dei figli, degli anziani, della casa, degli animali, destinandoci, con la scusa delle nostre innate e tanto sbandierate capacità multitasking (quando fa comodo siamo le più brave, le più intelligenti, le migliori, meglio che facciamo noi, solo noi salveremo il mondo: attenzione, odore di fregatura!) e troppo spesso ci ritroviamo incastrate in una girandola di situazioni, “doveri”, persone forsennatamente vampirizzanti ed è un lavoro vero e proprio proteggersi, evitare, sguisciare, mettere confini. Lavoro che tocca fare tutti i giorni, ora per ora, sempre. Va da sé che è durissima stare sempre in guardia, soppesare tutto, avere le antenne sempre in allerta.

Eccoci dunque ad un altro punto fondamentale: indossiamo catene per paura. Paura di dire no. Paura di dispiacere, di deludere, di essere le rompiscatole, le acide, le nevrotiche, le insensibili. Paura di non accontentare chi conta su di noi (e si aggrappa come una sanguisuga, aggiungo). Paura di non ottenere la conferma che siamo brave, siamo donne “vere”, non egoiste, donne che non pensano solo alla loro carriera, al loro benessere, alla loro evoluzione, ma riescono ad affiancare al percorso individuale tutte le pratiche di accoglienza, custodia, aiuto e presenza. Come se in cuor nostro avallassimo il prezzo da pagare per l’emancipazione, ossia fare tutto. Fare tutto ciò che abbiamo sempre fatto nei secoli scorsi più tutto ciò che abbiamo tanto combattuto per poter fare (ergo, cosa ci lamentiamo a fare, ce lo siamo cercato!). Essere ovunque, fare ogni cosa, avere 400 braccia, 800 occhi, mille ore al giorno. Hai chiesto di andare al ballo? Vuoi entrare in società, divertirti, presentarti e avere la possibilità di incontrare il principe azzurro? No, scusate, a me non interessa nessun principe, va de retro, non cerco un uomo o una figura che mi scelga e mi elevi ad un rango più elevato. Piuttosto voglio fermamente l’opportunità umana ed egualitaria di accedere al mondo del lavoro e di fami valere per le mie competenze, il mio valore, il talento. Essere pagata ugualmente a coloro che occupano le stesse posizioni. Va bene, va bene, va bene. Tutto chiaro, ma certo, è giusto, ci mancherebbe. Permesso accordato. Ma prima devi lavare, stirare, pulire, spolverare, portare i figli a nuoto, a scuola, il cane al parco, aggiustare il lavandino, chiamare tre colleghe, lavorare fuori ogni orario, soprattutto se sei una professionista autonoma, non dire mai no perché sennò: eh vedi, una donna non ce la fa, non può essere “performante” come un uomo, ha la famiglia alla quale pensare, e ancora devi fare colloqui, subire domande del tipo lei ha figli, vuole averne?  Pagare quello e questo, accudire i tuoi vecchietti, essere dolce e seducente per il tuo compagno o la tua compagna, fare la spesa, chiamare la tua amica che sta passando un brutto periodo, allenarti, tenerti in forma, mangiare bene ed essere bella, sorridente, sprintosa e seducente. Ullallà, bacchetta magica sia!

Ultima ma non ultima trappola, indossiamo catene per una paura che è incredibilmente assurda e che è la conseguenza delle paure descritte in precedenza.

La paura di avere successo, la paura di farcela, paura di realizzarci, paura di essere serene e felici, di essere appagate. Perché? Dopo tutto questa tenacia, questa fatica, questo dolore, questa determinazione…

Perché la libertà fa paura. Soprattutto se non si trovano facilmente esempi da seguire o ai quali ispirarsi. Per carità, sono tantissime le donne o le persone che hanno fondato la loro vita sul coraggio di superare paure e destrutturare schemi sociali, familiari e interiori. Purtroppo molte di queste figure non emergono come dovrebbero e quelle che invece sono diventate famose per la loro capacità di ribellione, per aver lasciato il segno, per aver voluto fermamente il cambiamento, sono tanto ammirate e profondamente idolatrate che si ergono involontariamente ad icone così speciali, così stupefacenti, uniche, avvenieristiche, da essere irraggiungibili. Quante volte ci emozioniamo a leggere o a ripercorre le biografie e gli atti di donne dal grande spessore (certamente anche di uomini) e ci sembra impensabile poter fare e agire allo stesso modo nella nostra vita.

Eppure basterebbe ridimensionare la spettacolarità e la visione romantica che per secoli abbiamo appioppato al concetto di libertà. Se ci concentrassimo sulla libertà come processo, prima di tutto interiore e infine agito, tutto acquisterebbe una dimensione giornaliera.

Un processo fatto di corse, cadute, rialzate, passi indietro, stasi, nuove riprese, qualche azione clamorosa, tuffi di testa e ma sì, o la va o la spacca!

L’idolatria, la dimensione dell’eroina o dell’eroe, la divinizzazione di una figura o di un modus vivendi sono l’altra faccia del potere che censura, che sabota e che, subdolamente, rende tanto appariscente, tanto desiderosa, tanto romanzata una meta, da allontanarla dal quotidiano e consegnarla all’olimpo. Ecco allora che rimane più familiare la condizione di frustrazione e dolore alla quale siamo abituate, certamente più rassicurante di possibili epiche avventure rocambolesche per conquistare la propria libertà, più concreto, più realista restare nel conosciuto. Liberarci dalle zavorre, dalle nostre insicurezze, dal senso del dovere nei confronti di questo e quello, è qualcosa che ci rende leggere, una condizione nuova, ricca di possibilità che non hanno più scuse per restare inesplorate. Qualcosa che solo figure mitologiche, rivoluzionarie, coraggiosamente controcorrente, possono affrontare.

Eppure, sono certa, ognuna di queste figure sentiva la paura chiaramente. Ma, per un motivo o per un altro, non si è assuefatta all’odore delle gabbie conosciute, proposte come quotidiano senso del vivere civile. Non ha smesso di sentire la puzza della manipolazione sociale, culturale, familiare, la puzza dell’addestramento all’omologazione.

Con questo non voglio dire che è necessario vivere una vita da ribelle a prescindere. Perché il o la ribelle a prescindere che smania per essere diversa/o da ogni cosa in realtà è completamente dipendente dalla conferma sociale, dallo stato padre, dalla madre famiglia, dalla quale brama distanziarsi per ricevere attenzione, dimensione adolescenziale assolutamente sana in alcune fasi della vita nelle quali si cerca la propria identità attraverso un processo di opposizione. Ma non si è ancora libere. Si è sempre legate ad un nemico da combattere a prescindere.

L’equilibro più complesso, più maturo, è quello dell’ascolto di sé. È quello di provare. Di agire pur avendo paura, essere predisposte a sbagliare se necessario. Capire i nostri veri desideri, non quelli indotti. I nostri veri bisogni, non quelli istigati. E far sì che la nostra personale ribellione esprima il senso originario di questa meravigliosa parola, ossia essere di nuovo belle, tornare al bello. Bello: ciò che è in profonda, fluida e semplice connessione con le viscere, l’origine, l’essenza.

Raramente noi donne non viviamo sensi di colpa quando ci concentriamo totalmente sul nostro cammino. È un continuo difendersi o tentare di farsi scivolare addosso giudizi severi, critiche mascherate da complimenti, invidia, lamentele del tipo: non mi chiami mai, non ci sei mai, sei diventata una star? Sei morta? Tutto bene? E ci credo che non hai una relazione! E ci credo che la tua relazione è in crisi! Ma i figli come stanno? Il tuo compagno che dice? Come sono contenta/o che pensi a te stessa, fai bene, pazienza se trascuri il resto…etc etc.

È ardua la via della bellezza, mentre dovrebbe essere tutto così naturale. Tanta consapevolezza eppure tante catene che ancora ci imbracano.

Non so voi, ma io scalpito da quando sono nata, con tutta l’indisciplinatezza che mi contraddistingue, eppure cado, ricado, esco, fuggo, analizzo, capisco tutto, non capisco niente, inciampo di nuovo, riprendo il cammino e così via, in un vortice faticosissimo di salita e discesa, una montagna russa di catene che mi accalappiano o nelle quali mi infilo più o meno inconsapevolmente e che poi passo il tempo a sciogliere, districare, spezzare.

Ci tengo a precisare che la vampirizzazione e lo sfruttamento delle nostre energie è ad opera di ogni possibile soggettività e di qualunque orientamento sessuale. In generale, quanto più si è piene di energia, volitive, capaci, laboriose o generose, tanto più attiriamo coloro che vedono nella nostra tendenza a fare, a risolvere, a riuscire, ad adoperarci, una possibile comoda soluzione ai loro bisogni ( soluzione a mio avviso comoda lì per lì ma effimera, perché non esiste evoluzione e crescita personale senza farsi in quattro da soli o da sole). Molte di queste figure hanno una enorme capacità di millantare complicità, promettere condivisione, non chiedere apparentemente nulla, sovrastimarsi e farsi servire, mettersi sul piedistallo,  presentarsi come vittime coraggiose che non vogliono assolutamente aiuto (riuscendo spesso ad instillare quell’insana tendenza da crocerossina militante dalla quale dobbiamo fuggire a gambe levate).

Se non mettiamo confini al punto, se necessario, di mandare letteralmente a fanculo, codeste anime sono capaci anche di puntualizzare, criticare il nostro operato (del quale godono), creare ulteriori ostacoli, fare capricci e mille altri sabotaggi che le mantengano al centro della nostra cura. E sì, queste persone possono essere molto vicine: colleghi e colleghe, superiori, madre, padre, fratelli, sorelle, amiche, amici o conoscenti. Sta a noi dire no, fare meno, non cogliere le manipolazioni, non lasciarci succhiare.

Basta fare la prova. Quando cominciano a sentire di non avere più presa non sono mica così disperat*, semplicemente non sopportano la perdita di potere.

Varie sono le tattiche per sottometterci e ricattarci psicologicamente: compiacerci oltre ogni modo, essere servizievoli, improvvisamente generos*, attent*, accudent*, offendersi (dimenticando in un batter d’occhio tutte le decine di cose fatte per loro o che loro hanno comunque fruito grazie a noi), inviarci battutine sminuenti o colpevolizzanti, rilanciare il protagonismo con melodrammatici resoconti di nuove devastanti disgrazie che stanno affrontando in solitudine, fingere, esagerare o sottolineare problemi di salute, scordarsi di noi, invisibilizzarci, metterci in competizione con altre figure e infine scusarsi animosamente con tono grave promettendo di non farci pesare più le proprie fragilità per continuare poi come sempre o darsi alla macchia alla ricerca immediata di altre linfe da succhiare.

Quando tutto questo emerge solo perché ci sottraiamo da un rapporto sbilanciato, di co – dipendenza, manipolatorio, ingiusto, la delusione è grande, la rabbia anche. Ma, al contempo, è la prova provata che mettere confini, sottrarci, fermare queste dinamiche, spezzare la catena, smaschera i/le parassit*.

Sì, faranno i loro tentativi per non rinunciare alla pacchia ma alla fine volgeranno il loro sguardo altrove. Ovviamente è molto duro accettare, non cadere nei sensi di colpa, nel senso di fallimento, di inadeguatezza, di abbandono.
Penso però che le persone capaci di autocritica, di rispetto, che davvero ci stimano o addirittura ci amano, se gli si fa notare che hanno “preso” troppo o che abbiamo dato eccessivamente, che abbiamo bisogno di concentrarci su noi stesse, si prendono un tempo, ci ascoltano, si fanno da parte senza colpevolizzarci e tentano di capire cosa può vuol dire anche per loro stesse non appoggiarsi così tanto. Un confronto reale è sempre una crescita, qualsiasi siano i tempi personali per metabolizzare.

Abbiamo il diritto, la meravigliosa possibilità e oso dire anche il dovere verso noi stesse di essere “scatenate”. Di restare leggere, o meglio, di avere il nostro personalissimo peso specifico, scevro da zavorre altrui. E prepararci per il volo.

A tal proposito, sul blog ho già condiviso alcuni passaggi che mi sono sempre stati utili ogni qual volta mi faccio vampirizzare, risucchiare, incatenare. Io continuo a ripassare e a intonare le mie giaculatorie preferite, che di volta in volta incremento con ulteriori passaggi, spunti nuovi, voci creative.

Vi riporto queste pratiche che ho raccolto in una sorta di breviario (in perpetuo aggiornamento), così che possiate farle vostre o anche solo riscriverle, integrarle, modellarle a piacimento e ve ne aggiungo una specificatamente dedicata alla polverizzazione delle catene.

SCATENATA STORY

Prologo

TUTTO A POSTO

 

Primo round

GUIDA AL LEGITTIMO VAFFANCULO

 

Secondo round

LA TABELLINA DEL NO

 

terzo round

SEMPRE MEGLIO SCATENATA (breviario di volo)

 

Sempre meglio scatenata che Vabbè lo faccio ancora io.

Sempre meglio scatenata che Non posso dire no, ci resterà male.

Sempre meglio scatenata che Io non sono proprio capace, tu fai questo, quello, codesto e quell’altro che sei bravissima!

Sempre meglio scatenata che Mi dispiace chiedertelo, proprio oggi che non hai tempo, ma sono disperat* ( piagnucolando).

Sempre meglio scatenata che Senza di te come farei (a fare qualunque cosa…)

Sempre meglio scatenata che Se non lo faccio che figlia, che compagna, che sorella, che amica, che collega sono…

Sempre meglio scatenata che Uno sforzo in più, posso fare anche questo, posso fare tutto.

Sempre meglio scatenata che Era davvero importante per me ma non ce l’ho fatta, ho dovuto pensare a….

Sempre meglio scatenata che Non sei più la stessa, pensi solo a te!

Sempre meglio scatenata che Ma che accetti a fare, ti stressi troppo, non ci saresti mai, non abbiamo bisogno di soldi!

Sempre meglio scatenata che Chiama tu, organizza tu, ma io questo no, quest’altro nemmeno, quello così o niente!

Sempre meglio scatenata che Tesorina non è che ti dispiace se non riesco? Lo faresti tu?  Mi porti Maometto in cima alla Montagna?

Sempre meglio scatenata che Sei pazzesca! Grazie per tutto quello che fai per il nostro progetto. Piuttosto quando risolvi questo e quello?

Sempre meglio scatenata che Non andare lì, non posso stare senza di te, non mi ami più?

Sempre meglio scatenata che Mi accompagni lì, mi accompagni là, mi vieni a riprendere, non mi lasciare sola/o!

Sempre meglio scatenata che Se mi ami non puoi farmi questo.

Sempre meglio scatenata che Amore di mamma non rischiare, lascia perdere, dai retta a me! 

Sempre meglio scatenata che Chiama la mamma più spesso però che se ne muore. Quando vieni a trovarci mi aiuti a… ( segue elenco personalizzabile)

Sempre meglio scatenata che Visto che sei lì, mi porti quello? Quando mangiamo? Hai comprato, hai chiamato, hai pagato, hai parlato con…?

Sempre meglio scatenata che La scadenza è domani, hai 12 ore, non mi dire che non puoi lavorare stanotte. Ah, ho scelto il collega ***  per quella posizione, sono certo che per te ci saranno altre occasioni.

Sempre meglio scatenata che Voglio programmare un tuo progetto. Vieni pure nel mio ufficio, ne parliamo. Ah, vieni sola, non portare colleghi, valuterò un progetto solo tuo…( dopo che me l’avrai data…)

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