Her 2 positive - twice a woman
Luglio 11, 2020In Cronache marzianeBy Indisciplinata

her 2 positive – twice a woman

Febbraio 2015. 38 anni. Fin qui una vita. Un po’ giusta, un po’ sbagliata. Certamente appassionata. 

Febbraio 2015. 38 anni. Carcinoma mammario invasivo, duttale, infiltrante, secondo stadio. Her 2 positivo. 

Il mio piccolo seno destro decide di parlarmi. Si sacrifica, mi inchioda all’ascolto.   

Nel giro di poche ore ricevo una quantità di notizie che mi travolgono. Il cancro non è la più spaventosa. Mastectomia radicale, probabile infertilità causata dalla chemioterapia, 5 anni di menopausa chimica e di azzeramento degli estrogeni. Crollo. Espongo la mia preoccupazione verso i farmaci. Non riesco a sentire il pericolo del cancro. L’oncologa mi zittisce alterata. Lei cura e non si discute. Prendo appuntamento per una tac total body e saluto.  Mentre aspetto i risultati, passo tre settimane a confrontarmi con altri oncologi, pazienti, fondazione metodo Di Bella, metodo Hammer, medici di altre specializzazioni, immunologi, e chi più ne ha più ne metta. Non dormo, nelle rare pause di questa forsennata ricerca, piango. Il tempo stringe, ho bisogno di capire che strada scegliere. Decido che Roma non mi fa bene, troppe pressioni da parte di famigliari, troppo caotica. Parto per Milano. Mi faccio visitare in un grande centro specializzato conosciuto in tutto il mondo, privato ma convenzionato. Scelgo la strada privata, ho un’assicurazione sanitaria mai usata per anni, facesse il suo dovere. A Milano approccio decisamente più rispettoso, più democratico. Sono  protagonista del rapporto con il medico e con l’equipe. A Roma ero un numero al quale si chiedeva di seguire educatamente ogni terapia senza discutere, come se la vita non fosse la mia. A Milano, dunque, meglio. La gentilezza, il sorriso di tutti, la grande capacità di accoglienza mi tranquillizzano. Sarà un lavoro di squadra, io sono la giocatrice da allenare, io sono al centro del gioco. Certo, la mia endemica tendenza all’osservazione, mi fa percepire che da paziente a cliente è un attimo. Non importa. Non ho tempo, devo agire. Il senologo preferisce operarmi immediatamente, poi si vedrà, capiremo le terapie dopo l’istologico. Perderò il seno completamente. Bisogna svuotare tutto. A 5 giorni dal colloquio sono in sala operatoria. Una dolcissima dottoressa che si occupa di chirurgia plastica ricostruttiva, mi spiega tutto sulle protesi. Mi dice, con il suo sorriso magnetico, i suoi ricci biondi, il suo fare gentile, che non sa se potrà metterle subito, dipenderà da quanta pelle mi leveranno durante l’intervento. In caso, prima avrò un espansore, una specie di palloncino sgonfio, inserito al posto del seno mancante, che verrà siringato ogni due mesi con soluzione fisiologica, così che, gonfiandosi man mano, allenterà la pelle, facendo spazio alla protesi definitiva. 


Ho sempre amato il mio seno. Piccolo. Non ho mai pensato di rifarlo. Mi viene da ridere ad immaginarmi giunonica. Ho amato il mio corpo snello, nervoso, adolescenziale. 


A questo punto mi sono detta, ok, osa, potresti ingrassare a causa delle terapie, il metabolismo cambierà, cerca un nuovo equilibrio, accogli un nuovo corpo. Ho chiesto alla dottoressa una bella terza piena. Che me so inventata pe’ rifamme le tette. E giù a ridere assieme.

La notte prima dell’operazione chiedo a mia madre di uscire dalla stanza. Ho bisogno di stare da sola con la mia  tetta. Eccoci. Davanti allo specchio. Sono impiastricciata di pennarello. La mappatura del mio piccolo martirio. Sono un calcolo, un progetto, un’operazione. Dico mille volte grazie. Dico sei bellissima. Chiedo perdono, per tutte le trascuratezze, per i sabotaggi, le noncuranze, le insicurezze, l’amore distratto. Piango ancora e molto, accarezzo, fotografo quegli ultimi minuti, ti voglio per sempre con me. 

Mi risveglio con una fascia strettissima intorno al busto. I drenaggi pieni di sangue. Uno strano macigno sul petto. Eccolo, l’espansore. Ora ho una minuscola tetta naturale a sinistra, uno strano palloncino a destra. Mi farai volare nel cielo? Come tutti i palloncini volati via dalle mani dell’infanzia? Più in là, avrò tette nuove. Capezzolo salvato, anche se molto rimpicciolito. Cicatrice visibile, non male, ha personalità, discreta ma assertiva. Sono stata fortunata, poteva andare molto peggio. Linfonodo sentinella positivo. Hanno svuotato l’ascella totalmente. Tutti gli altri linfonodi sono negativi. Mi fa male il braccio non riesco ad alzarlo. Dicono che farò fisioterapia per riabilitarlo, devo stare attenta ai pesi, piano piano riprenderò l’uso, sono giovane,  rischio linfedema a causa della dissezione ascellare. Io faccio molta danza, arti marziali, teatro, guido, lavori manuali. Voglio tornare a fare tutto. Ho deciso: farò come se niente fosse. Il braccio starà bene se non lo stresso con l’ansia. Devo riprendere capoeria, yoga e danza. Alla faccia della fisioterapeuta che mi ha detto che non sarà più come prima.

Non ho mai pensato alla possibilità di morire. Per incoscienza forse. Per rimozione, non so. Ho sempre e solo pensato a come curarmi senza distruggermi. Per me la qualità di vita è un parametro più importante della longevità. Magari perché non mi sono mai sentita spacciata. Potrei sempre cambiare idea.  Ogni fase della vita ha il suo bisogno. 

Durante la degenza vengo a sapere che nell’istituto c’è un oncologo che si occupa di fertilità nelle pazienti oncologiche. Lo contatto. Si presenta il giorno dopo in stanza un tipo sorridente, gentilissimo, simpatico e ci facciamo una grande chiacchierata. Ho deciso, voglio che mi segua lui. Non ho compagno, non sono in procinto di avere figli, ma essendo io stessa figlia di una 43enne, non mi va giù che a causa delle cure e non della malattia io debba azzerare la possibilità di essere madre. 

Rimpiango di aver sottovalutato il mio desiderio di maternità. Da bambina mettevo un cuscino sotto la maglietta giocando a fare la mamma in attesa. Come ho fatto a dimenticarmi di quella bambina? 

Torno a Roma con drenaggi al seguito. Attendo l’istologico. Il tumore è ormono-sensibile. I miei ormoni possono essere benzina per una recidiva. Dice che sono fortunata, che quelli non ormono-sensibili sono più difficili da curare. Se risulta aggressivo, il protocollo prevede chemio, poi 5 anni di menopausa indotta. Se non aggressivo, mi spetta “solo” la menopausa, una siringa una volta al mese che mi sospende le mestruazioni e una pasticca al giorno inibitrice degli estrogeni. Faccio fisioterapia da sola seguendo alla lettera gli esercizi che mi hanno insegnato, il braccio migliora di giorno in giorno, smetto anche gli antidolorifici. Il macigno al petto rimane. Un peso. Un forestiero da ospitare a vita.

Dopo 10 giorni torno in scena, una semplice lettura. Ho ancora i drenaggi, li nascondo nei pantaloni molto larghi, fissandoli alle gambe con il nastro isolante. Dopo 20 giorni  levate le sacche, riprendo lo spettacolo su Alda Merini.

Arriva il responso: Her 2 positivo. Tumore aggressivo, 6 mesi di chemioterapia preventiva. Successivamente menopausa chimica. Incasso. Piango. Mi immagino pelata, gonfia di cortisone, senza ciglia, senza sopracciglia. Mi compro foulard e turbanti, mi informo sui tatuaggi all’henné per la testa. Ma continuo a ragionare. Il referto dice che facendo chemio ho il 45% – 50% di possibilità in più di ridurre recidiva. Tartasso l’oncologo e il suo assistente, li tempesto di domande. Per le loro statistiche le donne con tumore non aggressivo hanno una percentuale di ricaduta del 10% nei 5 anni successivi. Quelle con il tumore aggressivo il 20%. Quindi quel famoso 50% che avrei guadagnato facendo la chemio, era il 50% del 20% di ricaduta. Otterrei il 10% in più di sicurezza. Sei sicura? Non te ne pentirai? Fai quello che senti Marzia, ascolta solo te stessa. E, qualsiasi sarà la tua scelta, comunque vada, sarà quella giusta per te.

Rifiuto la chemioterapia. L’oncologo risponde è una scelta che di pancia mi sento di condividere, pur non essendoci certezze scientifiche al riguardo.

Inizio la menopausa indotta. Non mi piace, ma provo, poi si vede. Ho subito parecchi fastidi. Dolore alle ossa, ai denti, mal di testa, azzeramento della lubrificazione vaginale, dolore vaginale. Mi faccio affiancare da una dottoressa romana immunologa, filoterapeuta , omotossicologa. Per un anno riesco a fare una dieta disintossicante. Smetto di mangiare carne, riduco al minimo i dolci e i latticini. Elimino quasi del tutto le intolleranze, cerco di tenere bassi i radicali liberi. Poi mi sono rotta. Sono pur sempre un’indisciplinata cronica. I controlli sì, li farò a vita, ma la dieta nì, alterno fasi disintossicanti a goloseria acuta. E lo stress. Beh lo stress a volte vince, a volte perde.

Potrei cadere nella retorica. Se accade, vi prego, tendetemi una mano e rialzatemi. Sono qui, dopo 5 anni, con 10 chili in più, ad imparare a riconoscermi in questa nuova me. Una nuova vita. Un po’ giusta, un po’ sbagliata. Certamente appassionata.

Un giorno ho sentito un piccolo bottone sul mio corpo. L’ho premuto. Si è aperto un portale. Sono scesa giù, giù, tra i miei reali bisogni. Ho preso questo, ho recuperato quello, scoperto qui, ascoltato là. Poi, via, verso la risalita. Con un bottino pazzesco fatto della vecchia me, della nuova me, delle anime eccezionali che ho incontrato in questa avventura, di persone pessime, di scoramento, di gioia, di pazienza, di rabbia, di bellezza, di solitudine e di affetto.

Non consiglio di non fare la chemioterapia. Questa è stata la mia scelta. E va bene per me. Al di là delle conseguenze. Posso solo confermare che fare le scelte più sentite e desiderate ripaga. Al di là del risultato.

Ci siamo. Il 7 luglio si sono conclusi i 5 anni di terapia. Da qualche giorno non prendo più le medicine. Non so se torneranno le mestruazioni, ma so, che dopo averle odiate per anni, ho sentito la loro mancanza, e so che voglio tornare a sanguinare. Se così non fosse, impiastriccerò comunque il mio lenzuolo, lo macchierò di testardaggine e tenerezza. 

E poi c’è il mio lavoro. Poi c’è la mia preghiera, il mio rito.

Sto preparando da tempo il progetto teatrale: Metastasis – trilogy of change. Una trilogia ( Degeneration – Her 2 positive – Sense) nella quale racconto il cancro come specchio del mondo attuale. Una cellula neoplasica non riconosce più il linguaggio originario e sviluppa un linguaggio degenere, insano, metastatico, così questa nostra società ha perso il senso primario delle cose, è distruttiva, violenta, malata. Nonostante lo scenario catastrofico, io credo nel cambiamento. Nel viaggio per ritrovare il senso.


Nel secondo atto del progetto, HER 2 POSITIVE – TWICE A WOMAN – SOLO REBIRTH, unico capitolo che ad oggi ha debuttato,  parla direttamente il mio corpo.  Una donna nuda porge le spalle al mondo. Spogliata della propria identità. Her 2 positivo. Carcinoma mammario aggressivo. Her 2 positivo. Due volte donna. Con lei due materie. Il latte amputato. Il silicone accolto. Un omaggio alla costellazione del cancro. Karkinos, il grande granchio  fedele ad Era che muore nel tentativo di uccidere Eracle.

È tempo degli incantesimi, delle stelle, degli dei. È il tempo del mito. Un tempo scandito da gocce. Il tempo delle lacrime. Il tempo del latte. Il tempo di una rinascita. Partorire sé stessa, riaprirsi nuovamente al mondo. Her2 positivo. Scegliere se il più è una croce, o se è una somma, un regalo, una dote.

                   Non sono che una lacrima                       

in questo immenso spazio

quanto è bello e sacro

questo indicibile arcano

così buio e scuro

per non sciupar le stelle

ed io che sono qui

tra protocolli in maceria

e statistiche in scadenza

io che sono qui

vorrei essere goccia

indivisibile stilla

di quella via macroscopica

della galassia che ci nutre

per nascere così, dal seno di Era 

e morire lì, nella bocca di Eracle    

  

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